Il lavoro del fotografo sta passando attraverso una rivoluzione. Non molto tempo fa, quando ci fu il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale, a un osservatore disattento poteva sembrare che, una volta avvenuta la transizione, il settore si sarebbe stabilizzato e sarebbe rimasto sostanzialmente identico per altri 100 anni.
In realtà il quasi contemporaneo avvento degli smartphone e dell'internet 2.0 fatta di social network, influencer e di spettatori che pretendono che sia tutto gratis, nel giro di un decennio ha cambiato il lavoro del fotografo molto più di quanto l'abbia fatto il passaggio dai rullini al digitale.
In un mondo in cui tutti si sentono fotografi, quelli che sanno di esserlo veramente non possono che essere in profonda crisi. Quando però quest'ultimi mettono davanti il loro orgoglio alla necessità di adattarsi l'unica conseguenza è l'estinzione. Per fortuna, però, esistono anche professionisti come Andrea Delbò, che ho intervistato qui sotto e che con la sua storia dimostra che c'è ancora speranza.
Chi ha scritto l'introduzione
Mi chiamo Daniele Carrer e da diversi anni insegno a fotografi e videomaker a vendere le loro foto e i loro video online nei microstock.
Lo faccio grazie al mio podcast, al mio corso e ai miei libri e raccontando le storie di alcuni produttori che hanno ottenuto risultati concreti vendendo stock images e stock footage.


Chi è il fotografo che racconta la sua storia
Andrea Delbò è un fotografo professionista che negli ultimi anni ha iniziato a vendere le sue foto e i suoi video nei microstock.
Uno dei suoi video, della durata di 8 secondi, solo su Shutterstock gli ha permesso di incassare 4200 dollari e oggi, dopo alcuni anni come contributor, ha un portfolio di 15 mila contenuti tra stock images e stock footage.
Gli studi e i primi lavori
Ci parli un po’ della tua carriera di fotografo?
Ho iniziato ad appassionarmi alla fotografia ai tempi del Liceo Classico, quando ho comprato una reflex: avevo fatto un corso del comune di Milano e usavo un 50mm fisso facendo solo foto in bianco e nero durante i viaggi e stampando le fotografie con un ingranditore in una cantina sotterranea. Anni di passione e grandi sogni che col passare del tempo mi hanno portato a voler approfondire sempre più l’arte della fotografia.
Al secondo anno di Sociologia ho deciso di prendere un anno di pausa dall’Università e frequentare l’Istituto Italiano di Fotografia Riccardo Bauer dove mi sono diplomato nel Corso di Moda. Era ancora l’epoca dell’analogico, abbiamo lavorato per un anno con banchi ottici e una sala di sviluppo stampa professionale. Ricordo bene che una delle materie meno importanti e apprezzata da tutti erano le lezioni al computer di Photoshop. Il digitale era alle porte e la scuola seguiva i tradizionali metodi di insegnamento che mi sono stati molto utili per conoscere l’importanza della tecnica e della ricerca fotografica.
Una volta diplomato ho terminato i restanti due anni della Facoltà di Sociologia e una volta laureato mi sono dato qualche tempo per provare a diventare un fotografo professionista. La cosa difficile non era saper fare una foto, ma trovare qualcuno che ti pagasse per farla.
All’epoca abitavo con i miei genitori e mi guadagnavo qualche soldo lavorando come assistente fotografo in un importante studio di sale posa a Milano dove vedevo lavorare fotografi che facevano importanti campagne pubblicitarie o di moda.
Ho iniziato a lavorare in questo settore quando sono entrato in una agenzia fotografica per l’editoria: lavoravo da freelance con la partita IVA per i principali quotidiani nazionali (Corriere delle Sera, Repubblica, Il Giornale e altri), iniziando a capire come trasformare la mia passione in un lavoro.
In tre anni sono diventato giornalista pubblicista e ho iniziato a guadagnare e vivere di fotografia.
Il lavoro di foto-giornalista mi piaceva perché ero sempre in giro e vedevo mille mondi diversi: seguivo la cronaca, la politica, la musica, l’economia, manifestazioni di vario genere ed ogni giorno ero calato in una situazione differente. Ho seguito eventi come il terremoto all’Aquila e iniziato ad essere sui posti che facevano notizia.
La crisi della carta stampata era già in atto e col passare degli anni mi sono spostato di settore iniziando ad occuparmi di spettacolo, moda e televisione. Il mio lavoro veniva a questo punto pubblicato sui settimanali (Oggi, Gente, Chi, Donna Moderna e altri).
Iniziavo a seguire eventi come la settimana della moda, le trasmissioni televisive e a fotografare attori e personaggi dello spettacolo. Nel tempo sono diventato fotografo ufficiale di Martini e altre aziende iniziando così a lavorare in ambito commerciale. Crescendo in esperienza sono stato scelto come fotografo interno di alcune case editrici come Mondadori, Conde Nast e WWD America.
In questo modo sono passato da fare foto sperando venissero acquistate da qualche giornale a realizzare lavori commissionati da una testata o un cliente.

Come si diventa fotografi
Oggi lavori per importanti aziende sia nel campo dell’editoria, sia nel campo delle eccellenze italiane, visto che sei uno dei fotografi ufficiali Martini. Collaborare con brand così importanti è l’obiettivo di tanti giovani che sognano di diventare fotografi.
Come ci si riesce?
Sicuramente sapere fotografare è la base di tutto anche se, con la tecnologia che abbiamo a disposizione, è sempre più facile fare una foto esposta correttamente semplicemente facendo click.
La passione è anche molto importante... ma a chi non piace fare foto?
Moltissimi amano fotografare, ma fare di una passione un lavoro è alquanto complicato. Quando si dice “mi piace fotografare e vorrei fosse il mio lavoro” si pensa a quanto sia bello fare una foto a ciò che più ci piace fotografare, cosi da esprimere sé stessi attraverso l’uso della macchina fotografica. Questo è quello che io ho fatto dai 18 ai 24 anni fotografando in bianco e nero in giro per il mondo con la mia reflex.
Lavorare di fotografia comporta un cambio radicale di prospettiva: tranne alcuni grandi che sanno comunicare e fare arte con le loro immagini (Salgado ne è un esempio) e decidono loro cosa fotografare e come fotografarlo, molti altri sono operai che lavorano nel mondo della fotografia.
Il lavoro non è esattamente quello che si fantastica possa essere: oltre a saper fare le foto ci sono molte altre attitudini che un fotografo deve avere. Queste ovviamente saranno diverse in base al tipo di fotografo che si vuole diventare: un conto è essere un fotografo naturalista, un altro matrimonialista o di sport, e a seconda del settore in cui si lavora saranno necessarie competenze e capacità differenti.
Io ho sempre avuto una forte motivazione a diventare professionista e per anni ho messo il mio lavoro davanti a tutto: ricordo i tempi in cui seguivo la cronaca nera a Milano e a notte fonda capitava spesso di uscire per un incidente stradale o per qualche brutta notizia. Non certo l’idea di fotografo che volevo essere, ma era l'inizio del mio percorso e lo facevo con passione cieca.
Lavorando ho iniziato a capire chi poteva essere interessato ad una foto e ho conosciuto persone che cercavano la mia professionalità (aziende, uffici stampa, privati, case editrici, etc.), sviluppando una rete di clienti con cui collaborare a progetti di vario genere.

Fare il fotografo nel XXI secolo
Com’è cambiato oggi il business del fotografo rispetto a quando hai iniziato tu?
Io vivo di fotografia da 17 anni e per quanto si tratti di un arco temporale relativamente breve sono cambiate molte cose.
Ho iniziato a lavorare qualche anno dopo l’avvento della fotografia digitale e ancora ricordo i colleghi foto-giornalisti più anziani che fino a due/tre anni prima facevano le foto, le stampavano in agenzia e correvano nelle redazioni dei giornali a venderle. Mi raccontavano che quando seguivano eventi fuori Milano, in Sicilia ad esempio, la sera si recavano all’aeroporto e davano a un passeggero del volo diretto a Milano i rullini da consegnare a qualche collega che li attendeva all’arrivo.
Con il digitale si è iniziato a mandare le foto ai giornali via ftp e direttamente sui vari server. All’epoca (i primi anni 2000) una foto su un quotidiano veniva pagata 46€ e su un settimanale 110€. Era un lavoro che, se fatto a tempo pieno, dava soddisfazioni anche economiche.
on la crescente affermazione del web anche i giornali sono andati online iniziando una battaglia al ribasso sul prezzo di acquisto delle foto. Sul cartaceo hanno mantenuto i prezzi in essere e iniziato a pagare meno per l’online. All’inizio 10€ a foto ma, visto che la pubblicazione online si affiancava al cartaceo e spesso venivano acquistate gallery con decine di foto, la situazione sembrava buona. In realtà si stava assistendo ad una generale progressiva discesa dei prezzi dalla quale non si sarebbe più tornati indietro.
Quando ti ho scritto la prima volta (ndr: messaggio citato nell'episodio 102 del podcast "Vendere foto e video online") ti ho detto che ero uno di quei fotografi che, stante la propria posizione lavorativa, non avrebbe mai accettato di vendere una foto a 0,10$, ma in realtà in una decina di anni di crisi finanziaria globale e crisi dell’editoria siamo andati sempre più verso un taglio radicale dei prezzi di vendita.
Parallelamente è cresciuta l’importanza dei social media come Instagram, innondando il mondo di fotografie e nella nuova realtà digitale i blogger di professione hanno iniziato ad essere più attraenti dei fotografi professionisti agli occhi dei committenti. Il modo di fare immagini è cambiato: tutti fanno immagini ed e più facile trovarle per chi ne ha bisogno. La competenza e la professionalità contano sempre meno di fronte all’accesso ad una infinità di foto per di più gratuite.
Se qualche anno prima potevo fotografare Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore che davano la notizia della dolce attesa facendo un servizio fotografico posato in barca a Monte Carlo (l'immagine sopra l'ho scattata quel giorno: è una foto di backstage durante lo shooting), ora il giornale che prima spendeva per realizzare quel tipo servizio poteva ugualmente uscire in edicola, ma con foto prese gratis dal profilo Instagram dei protagonisti. Sfogliando un settimanale Italiano ci sono molte foto con il credito Instagram in bella mostra, mentre le foto acquistate da un professionista non riportano il nome dell’autore, tranne nei rari casi in cui il servizio è commissionato dalla testata.P
Prima si poteva lavorare con i personaggi dello spettacolo e guadagnare. Qui sotto c'è un servizio di Gente con le mie foto di Elisabetta Gregoraci in un negozio dove compra un lettino.
Prima conoscendo un personaggio famoso si poteva organizzare un servizio interessante in termini di vendita (nel caso in questione Elisabetta ed io avevamo deciso insieme di fare uno shooting semi rubato di lei che faceva shopping).
Ora la stessa foto il vip la fa con il telefono, la posta su Instagram e il giornale la scarica gratuitamente. Prima i VIP avevamo bisogno dei fotografi per lanciare una notizia. Poi hanno iniziato a fare tutto da soli o tramite i loro uffici stampa, senza bisogno del fotografo.
In molti ambiti, non solo nella fotografia, il taglio dei costi è diventato un imperativo e di conseguenza ci si deve abituare a restare sul mercato se si vuole fare il fotografo di professione. Adattarsi produce un cambiamento e in questo senso lo stravolgimento dello status quo che ha vissuto il mondo della fotografia non è di per se un male. Adattarsi significa: accettare nuove sfide, iniziare nuovi progetti, fare conoscenze che poco prima sembravano impensabili. Per questo motivo un evento negativo può essere al tempo stesso inizio di qualcosa di nuovo e positivo.
Senza questa crisi del settore, a cui ha fatto seguito la pandemia, avrei continuato a fare le medesime foto ancora per anni. Adattarmi al cambiamento ha significato imparare a fare video, volare con il drone, usare programmi di montaggio e approcciarmi al lavoro in modo totalmente diverso: una bella spinta di entusiasmo per chi vuole crescere e imparare il più possibile.

Fotografi Italiani e fotografi stranieri
Tu hai frequentato ambienti internazionali per lavoro. Confrontando la mentalità del fotografo all’estero con quella del fotografo italiano, quali sono le differenze principali che hai notato?
Nel mondo che ho conosciuto io in questi anni la principale differenza riguarda la capacità di fare categoria. Nel nostro mondo c’è stata una competizione al ribasso anche tra professionisti che ha portato ad un rapido declino della figura del fotografo.
In altri contesti, anche Europei, restare uniti come categoria ha permesso a molti di fare tutt’oggi bene il proprio lavoro sia a livello di retribuzione che di prestigio professionale.
Quando mio figlio è finito in un video di Bono e Zucchero grazie al microstock
Andiamo alla madre di ogni cambiamento: marzo 2020. Da una settimana all’altra ci chiudono in casa. La maggior parte dei fotografi vede improvvisamente sparire i suoi incassi, dovendo comunque continuare a pagare le spese e tirare fuori uno stipendio per vivere.
L’impressione mia è che a quel punto, anziché sfruttare il nuovo scenario, a partire dalle enormi potenzialità che in quel momento aveva il microstock, la categoria si sia chiusa su Facebook a lamentarsi dello Stato.
Tu invece cosa hai fatto?
Avevo aperto un profilo su Shutterstock qualche anno prima, quando osservando il mondo della fotografia in declino stavo cercando nuove vie per proseguire nel mio amato lavoro. Avevo dapprima caricato qualche migliaio di foto di personaggi famosi che avevo in archivio e, vedendo qualche lieve guadagno, avevo iniziato controvoglia a caricare un altrettanto vario archivio di foto fatte nei miei lunghi viaggi in giro per il mondo.
Ho studiato sempre più assiduamente il microstock per cercare di capire se potesse avere un senso anche per un professionista. Leggevo tanto ma, contemporaneamente, lavoravo nel mio settore e non avevo il tempo per iniziare a produrre materiale in maniera efficace: vedevo che per quanto le foto vendute fossero molte i guadagni restavano bassi.
Poi a seguito di cambiamenti nella mia vita familiare è venuta meno la possibilità di lavorare a tempo pieno. Prima, fosse il terremoto o un evento mondano, ero pronto a partire; da quel momento in poi non ho potuto più farlo. Avevo sentito, grazie ai tuoi consigli, che chi produce stock footage ottiene incassi maggiori e ho iniziato a considerare l’idea di avvicinarmi al video, comprando l’attrezzatura per iniziare e un drone per aggiungere novità al nuovo percorso.
Quando è iniziata la pandemia ho avuto tutto il tempo per iniziare seriamente a mettere in pratica un metodo che speravo mi consentisse di diventare un buon contributor. Ho iniziato riprendendo la pandemia a casa, avendo la fortuna di poter riprendere me e mio figlio in situazioni di vita domestica nella nuova realtà. Qualche giorno dopo aver fatto i primi video, la vicina di casa mi ha suonato alla porta per dirmi che aveva visto mio figlio al Tg5. Uno spezzone dove suonava il flauto sul balcone di casa era stato usato nel video della canzone di Zucchero e Bono degli U2 dedicata alla pandemia (in questo video di YouTube è visibile un live di Zucchero dove è stata usata la stessa clip): in quel momento ho capito che potevo provare a credere nel progetto.
Date le mie abitudini lavorative, pativo a lavorare senza avere alle spalle un committente, sia esso una testata giornalistica o un’azienda: vedere che il video era stato acquistato da una prestigiosa produzione musicale e diffuso da vari media mi ha aperto gli occhi sulle potenzialità di quello che stavo facendo. Il balcone e la casa sono diventati uno spaccato di realtà da riprendere ogni giorno. Credo sia stato un momento unico: mai prima d’ora c’era stata una richiesta di immagini e video cosi elevata di un argomento di cui non c’era nulla (pandemia e lockdown totale), per di più in una fase in cui non era possibile girare facilmente nuovi contenuti per le produzioni di tutto il mondo.
Al tempo stesso, essendo giornalista pubblicista, potevo anche nel lockdown più ferreo uscire di casa e svolgere il mio lavoro. Ho ripreso, ed è stato molto emozionante: le piazze deserte di Milano, ho visto una città in una veste tutta nuova. In quei momenti per quanto non fossi lì per alcuna testata giornalistica ho iniziato a sentire con piacere la possibilità di governare al massimo il mio lavoro. Inoltre non stavo fotografando come mia abitudine, ma riprendendo o volando con il drone intorno al Duomo…
Iniziavo ad appassionarmi a qualcosa che non credevo possibile: cambiare sistema di ripresa (cosa che per un fotografo può essere fastidiosa) e passare ad un altro mercato di riferimento. Un grosso cambiamento che però era in qualche modo incoraggiato dalla stasi totale del mondo circostante. Qualunque buon lavoro precedente era sospeso e ho pensato che poter ancora lavorare nella situazione di emergenza in cui ci siamo trovati era una grande fortuna.
Cosi ho prodotto per mesi stock footage, parola nuova nel mio vocabolario, e ho iniziato ad imparare un nuovo lavoro.
Quanto conta il luogo in cui si esercita la professione di fotografo
Io dalla mia camera nella provincia più profonda interagisco, via Skype ed email ovviamente, tutti i giorni con professionisti del settore. Nel 95% dei casi questi non sono nemmeno Italiani.
In altre parole non sento nessuna limitazione nel fatto di non vivere in una grande città: posso studiare fotografia gratis su internet, visto che l’Università di Harvard ha rilasciato i suoi corsi liberamente a tutti. Posso guardarmi i documentari su Netflix e leggermi tutti i libri che voglio grazie ad Amazon, come 20 anni fa nemmeno il Presidente degli Stati Uniti poteva fare.
A tuo avviso, per diventare un fotografo professionista affermato, è ancora necessario spostarsi a Milano e Roma o, in una dimensione ancora più ampia, a New York, Parigi o Londra, o la tecnologia sta democratizzando anche il mondo della fotografia business?
Certamente i cambiamenti degli ultimi 20 anni hanno diminuito le differenze di opportunità tra la provincia e la città grazie al fatto che il web è disponibile per tutti quasi in egual misura. Dal canto mio devo però dire che senza Milano non sarei cresciuto come mi è accaduto. Durante l’università ho imparato a fare una foto e frequentato vari percorsi formativi, ma sono poi cresciuto a livello professionale principalmente perché ero in uno scenario dove accadevano cose che aveva senso riprendere.
L’enorme quantità di eventi: dall’ascesa di Berlusconi, alla settimana della moda, alla televisione (Rai, Mediaset, Sky) si potevano vivere solo stando a Milano e rispetto a colleghi che muovevano i primi passi in realtà minori la possibilità di emergere credo fosse maggiore, anche perché le foto che facevi avevano un bacino di interesse più ampio.
Anche oggi che sto cercando di cambiare il mio lavoro ho un soggetto come Milano sempre disponibile, una “grande” città metropolitana europea con tante eccellenze: tutto dipende da cosa si vuole fotografare ma, per come sono stato formato io, la città è un ottimo soggetto e laboratorio dove muovere i propri passi.
Merito Vs pubbliche relazioni
Vado di domande politicamente scorrette, ma conoscendo il mio podcast credo che ti stupiresti se non lo facessi.
Anni fa provai a produrre una mia serie TV. Ero talmente sicuro di me stesso (o forse solo incosciente) da non fermarmi al numero zero, ma di produrre una stagione intera prima ancora di venderla.
Quando poi, disperatamente, provai a cercare un compratore, mi trovai a sbattere contro un muro di gomma fatto di consociativismo, raccomandazioni e, credo, anche di corruzione. Quanto diverso da questo quadro è il mondo della fotografia professionale di alto livello?
Credo che oggi si sia già realizzata una forte svalutazione della figura del fotografo professionista e non sono così convinto che quella che ho vissuto io sia fotografia di alto livello. La fotografia di alto livello riguarda pochi eletti che arrivano a fare arte e non direi che sono dei raccomandati.
Io ho vissuto in una fase in cui, per quanto il mondo stava usando sempre più le immagini in ogni dove, il prestigio del lavoro calava giorno dopo giorno. Ormai tutti possono fare immagini e se agli inizi solo un fotografo professionista faceva una determinata foto, oggi la possono fare in centinaia. Siamo passati ad un mondo pieno di immagini con la conseguente svalutazione delle immagini stesse, sia a livello di cultura visiva che di valore economico.
Le raccomandazioni non hanno fatto parte del mio percorso: entrare in una agenzia è un fatto di merito che puoi dimostrare solo con il lavoro sul campo e con il rendiconto dei guadagni a fine mese.
Ho vissuto in contesti lavorativi prestigiosi e, con il passare degli anni, ho visto anteporre il taglio dei costi alla bravura del fotografo, con un conseguente peggioramento delle retribuzioni e della qualità del lavoro stesso.

Il microstock: riprendere quello che voglio, quando voglio, come voglio
Torniamo al microstock.
Durante la pandemia ti sei auto ripreso con tuo figlio in terrazza mentre giocavi a pallone. Ad oggi hai guadagnato più di 4200 dollari con quel video di pochi secondi.
Stavi cercando un video che descrivesse genericamente il momento che tutto il mondo stava vivendo, o quella ripresa l’avevi ideata dopo uno studio attento sui trend delle news e sul materiale già in vendita nei microstock?
In quel momento non avevo molto idea di quello che stessi facendo: principalmente stavo cercando di portare avanti il mio lavoro e occupare al meglio il tempo.
L’evento di fronte a noi era pauroso, ma erano tanti anni che correvo da mattina a sera per lavoro ed essere costretti a rallentare sentivo poteva essere positivo. Nel fare quel video avevo con me le capacità tipica di un foto-giornalista di tradurre in immagine una notizia, ma non utilizzavo ancora metodi di analisi di alcun tipo per decidere cosa riprendere.
Riprendevo quello che potevo e avevo tante opzioni: potevo uscire a Milano a fare il mio lavoro nell’area più colpita al mondo dal virus, mentre a casa potevo riprendere scene di vita quotidiana con il fondamentale ausilio di mio figlio. Quando ho iniziato aveva 5 anni ed ora che ne ha 7 recita sempre meglio in ogni scena e se sono io il protagonista del video lui fa il regista in camera.
Oggi che sto cercando di produrre microstock e footage con maggiore costanza. Ho iniziato a fare ricerca prima di scegliere un tema e a scrivere step by step la scaletta delle scene da riprendere, cosi da ottimizzare il lavoro.
Devo ancora affinare il metodo di programmazione ma trovo molto utile leggere quanto accade nel mondo intorno a noi e utilizzare strumenti che mi aiutano a capire la vendibilità di un soggetto piuttosto che di un altro.
In quali agenzie vendi i tuoi contenuti?
Attualmente, prendendo come riferimento Shutterstock: ho un portfolio di 10500 fotografie e 5000 video. Non utilizzo servizi per upload e keyword e le agenzie su cui carico sono Shutterstock, Pond5 e Adobe Stock.
I risultati sono buoni: durante la pandemia ho fatto un lavoro mirato e devo capire se una volta alle spalle questo lungo periodo ci saranno ancora margini di lavoro in questo ambito.
Quali risorse usi per produrre meglio?
Il vecchio sistema di leggere il più possibile e informarsi: a partire da quello sviluppo idee da riprendere che possano sintetizzare il concetto, l’argomento o la notizia.
Una delle principali caratteristiche di un fotografo è la curiosità e partendo da questa trovo gli spunti per produrre un contenuto. In questo senso il microstock mi ha dato una bella boccata di ossigeno: mi sta dando la possibilità di riprendere quello che voglio, quando voglio, come voglio.
Domande di Daniele Carrer, risposte di Andrea Delbò, andreadelbo.com. Novembre 2021.