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Il fotografo scomparso

Brevi considerazioni sul nostro “mestiere”

di Michele Vacchiano

 

Sento spesso colleghi (parlo di fotografi professionisti, ma anche di molti fotoamatori “nati” con la pellicola) lamentarsi che il digitale ha “ucciso” la fotografia.

Chi fa una simile affermazione non si riferisce agli aspetti tecnici o tecnologici del fenomeno (che spesso – ahimè – non conosce a fondo), ma a un altro aspetto che – probabilmente – era apparso secondario agli inizi della rivoluzione digitale: l’aspetto della condivisione.

Mi spiego.

C’era una volta il dilettante.

Leggeva, si informava, compulsava libri e riviste (Internet non esisteva o era ancora poco diffuso), e alla fine diventava davvero bravo.

Sicuramente migliore di certi “professionisti” che esponevano nelle vetrine dei loro negozi le foto di matrimonio più assurde e inguardabili, come quella che ritraeva lo sposo mentre – con la sposa in braccio – fingeva di gettarla nel pozzo (finto anch’esso) del giardino dove si svolgeva il rinfresco; o gli anelli inquadrati infilando l’obiettivo in un tubo di cartone per ottenere l’effetto “sfumato ai bordi”.

No, non ridete e non pensate che esageri: io c’ero!

Purtroppo per lui, questo dilettante (come abbiamo detto, migliore di tanti professionisti) non aveva modo di diffondere e far conoscere i suoi lavori al di là della cerchia ristretta dei suoi parenti, amici, consoci del circolo fotografico.

Quando gli andava di c… ehm, quand’era fortunato, poteva sperare di pubblicare qualche foto sul giornalino della parrocchia, o su qualche periodico a diffusione locale.

Internet ha capovolto questo stato di cose.

Adesso il dilettante può far vedere le sue foto al mondo!

Ne consegue che la funzione del fotografo professionista (inteso come “quello che sa fare delle belle foto”) è stata messa drasticamente in crisi.

Gli stessi editori – che un tempo si rivolgevano alle agenzie fotogiornalistiche per acquistare immagini da pubblicare su libri, riviste ed enciclopedie a dispense – attingono oggi a quella inesauribile (e spesso gratuita) risorsa che è la rete.

Risultato: agenzie fotogiornalistiche scomparse e professionisti in crisi d’identità.

Conseguenza (una delle tante): i compensi che un fotografo può sperare di ottenere si sono drasticamente ridotti.

Panda Photo mi dava 200 euro per una foto di copertina.

Oggi vendo la stessa foto a Shutterstock per pochi centesimi di dollaro.

Con la differenza che quella foto può essere venduta centinaia di volte, e senza limiti di tempo: se sono bravo, se sono abile nella scelta delle parole chiave, se so fotografare quel soggetto (di cui magari esistono in rete decine di fotografie) in un modo al quale nessuno ha ancora pensato, allora posso essere ragionevolmente certo di riuscire a reggere una concorrenza competente, numerosa e agguerrita, fatta non solo di professionisti come me, ma anche di dilettanti altrettanto bravi.

Devo rammaricarmene?

Rimpiangere i bei tempi in cui la Rivista della Montagna mi pagava i servizi?

In cui c’era una differenza drastica tra chi aveva una partita IVA (e magari produceva schifezze) e chi non l’aveva?

Posso anche farlo, come fanno tanti, ma perché perdere tempo?

Il mondo è cambiato e di conseguenza devo cambiare anch’io.

Devo accettare il fatto che ho molti più concorrenti di prima, ma questo alza l’asticella e mi costringe a saltare più in alto, il che non può fare che bene al mio lavoro, alla mia carriera e alla cultura della fotografia in generale.

Il fatto che io sia conosciuto e rispettato come formatore e come produttore di immagini, deriva proprio da questo, che – nonostante la mia età e il mio ormai lungo cammino sui sentieri della fotografia – non ho ancora smesso di studiare, di imparare, di essere curioso e di chiedermi che cosa farò da grande.

Ai colleghi che si lamentano della fotografia “alla portata di tutti”, rispondo di solito dando loro due notizie, una cattiva e l’altra buona.

La cattiva è che il mestiere del fotografo, inteso come “quello che sa fare delle belle foto”, non è in crisi.

Semplicemente è scomparso!

La buona è che – data la situazione – tutte le possibilità sono aperte.

Soprattutto è aperta la possibilità di inventarsi un nuovo mestiere, che sappia conciliare l’esperienza nel campo dell’immagine con la preparazione culturale; la capacità di autopromozione con la conoscenza del mercato.

Una solida preparazione culturale (fotografi, studiate la storia dell’arte!), la capacità di tenere gli occhi aperti sulle tendenze del mercato, la capacità di coinvolgere le persone giuste al momento giusto: ecco alcuni degli ingredienti necessari per reinventarsi e per proporsi a buon diritto come unici, veri e qualificati esperti dell’immagine.

In altre parole, per diventare comunicatori, e non solo in campo fotografico.

Ma specialmente, dobbiamo imparare a elevarci (culturalmente e moralmente) al di sopra delle mode e delle tendenze dominanti.

In un mondo dove l’apparire è considerato il più prezioso dei valori; dove l’egoismo, la mediocrità e la voglia di primeggiare sono considerate le uniche armi vincenti, dobbiamo saper mettere in campo doti non comuni di modestia, umiltà e desiderio di imparare.

Il rigore metodologico, il rispetto per noi stessi, per i nostri clienti e per il nostro lavoro saranno le qualità che ci consentiranno davvero di emergere.

Costerà tempo, fatica, talvolta insuccessi e delusioni, ma l’epoca in cui viviamo ci ha ormai abituati a rinunciare a ciò che credevamo acquisito, e ben pochi hanno ancora la possibilità di adagiarsi sulle vecchie certezze.

L’alternativa non è guadagnare di meno.

L’alternativa è l’estinzione.

Michele Vacchiano con la Phase One mentre fa una foto di architettura in interni.

Michele Vacchiano è nato a Torino nel 1951.

Fotografo e scrittore, ha al suo attivo numerose pubblicazioni: manuali tecnici, libri di immagini e anche un romanzo per ragazzi, oltre a centinaia di articoli apparsi su riviste cartacee e telematiche.

La formazione e la diffusione della cultura fotografica hanno sempre rappresentato un aspetto importante della sua attività.

Attualmente organizza corsi e workshop destinati tanto ai principianti quanto ai fotografi esperti.
Le sue immagini sono state esposte in occasione di mostre personali e collettive, sia in Italia che all’estero.

Nel 2013 gli è stato assegnato il premio Green Ribbon per il suo impegno a favore dell’ambiente e del territorio.

E’ fra i primi fotografi italiani ad avere ottenuto la certificazione IMQ come professionista in possesso dei requisiti richiesti dalla normativa UNI.

Trovate altre informazioni su Michele Vacchiano nel suo sito o in questa guida che ha scritto per stockfootage.it.

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